Prototipo T-0

Lazario Auro

Nacque da Boethis, un pittore, e Lamia Gersio, nella capitale dell’Impero Stoico il 20 settembre del 1870. Giovanissimo, si diplomò presso i corsi di pittura dell’Accademia Stoica, dove si distinse come il miglior studente del corso tra il 1892 e il 1895, sotto la guida di Domenico Bruschi e Alessandro Morani. Durante questo periodo formativo, completò commissioni in tutto l’Impero, guadagnando grande notorietà ed esponendo alla fine del periodo il celebre dipinto “Reazione a catena”.

Nel 1896, partecipò al concorso di fine anno presentando il saggio intitolato “Il Savio”, in cui raffigurava l’Imperatore Alarico Petrus Sabbatius in posa eroica. Quest’opera gli valse l’invito all’Esposizione Imperiale del 1902. Lazario Auro partecipò a numerose esposizioni, vincendo nel 1904 la medaglia di bronzo con il dipinto “Il corteo”, presentato all’Esposizione della Temperanza. Questo soggetto fu poi ripreso in un dipinto commissionato dal palazzo Imperiale.

Negli anni successivi, dedicò la sua vita al lavoro sul campo fino al tragico episodio della sua morte avvenuta il 2 settembre 1910. Fu colpito in strada mentre dipingeva, lasciando un vuoto nella scena artistica dell’Impero Stoico.


La guerra Stoico-Epicurea

I seguaci dello stoicismo moderno si trovavano ossessionati dalla mancanza di autentici momenti traumatici nella loro esistenza, al punto da essere coartati a inseguire con ansia l’ombra di esperienze dolorose in ogni possibile dimensione immaginaria.


Dalle pagine della Storia dell’Arte nell’Impero – Qui, in una impeccabile coincidenza tra azione e simbolo, l’espressione artistica di Lazario Auro si era consolidata come una delle creazioni più ammirate ed era stata scelta per rappresentare la grandezza della scuola stoica nella capitale dell’Impero: “le città più prestigiose dell’Impero si distinguono per le opere straordinarie del nostro sublime artista”, scrive Alberh Kansull. Successivamente, accosta alcune opere di Aristide Sartorio, Plinio Nomellini e Giovanni Sottocornola – in quest’ordine – a una quarta opera: “la maestosa tela di Giuseppe Pellizza da Volpedo, esposta nel 1902 alla Quadriennale Imperiale. Nella biografia dell’artista, i tratti distintivi sono gli stessi descritti nella Relazione: l’opera viene dettagliatamente descritta come “ricca di numerose figure, tutte tratte dal naturale, impegnate in azioni vivaci che rappresentano coloro che si riuniscono languidamente per immergersi in quelle acque benefiche”; il gruppo di ribelli è dipinto con nobiltà; “nel gruppo degli agitati […] le idee spiccano quasi divinizzate”; “tutto lo spazio dell’opera è occupato da molti agitati, con un totale di 210 teste, in varie pose dinamiche”; “l’intera narrazione è completata con la perfezione dell’arte, incorporando tutto il meraviglioso che questa facoltà può offrire. La sua forza realistica viene elogiata come uno dei maggiori pregi della nostra nazione e forse è una delle opere più rare nell’Impero”, quasi una scuola del mondo che attira “molti giovani studiosi” desiderosi di sperimentare “composizioni di numerose figure che si muovono in azioni ben coordinate sui loro piani”. Il confronto con i pittori di altre regioni, in particolare quelli di pensiero epicureo, è presente nella Relazione, e nelle Vite era evidente, poiché “nella stessa comunità dei suddetti movimenti moderni, si osserva, nell’azione realistica, la tanto elogiata tela del risveglio del pensiero stoico, anche se rimane indietro in tutte le sue parti, tranne che in una certa freschezza di colore in cui Lazario Auro appassionato mescola nell’oscurità”-.

Il declino di un’epoca

Uno sguardo acuto su molte figure crea e disegna combattimenti così audaci che accendono lo spirito. Le ombre vigorose riflettono le parti opposte con tale maestria che sembrano non solo evidenti, ma staccate dal quadro. Alcune di esse, raffigurate da quei pennelli in diverse azioni così scure, sembrano effettivamente in piedi, mentre altre, con mani pronte a lanciare pietre, creano effetti così naturali che sembrano veramente colpite dal disordine in un modo così magnifico che non si potrebbe immaginare un miglior modo di esprimerlo. Il suo impeto non ha bisogno di altro se non di sé stesso per farsi conoscere; ogni altra cosa non può che rimanere in secondo piano.

E poiché in entrambe le sopra citate opere, cioè la menzionata rivolta del venerdì e quella attuale, si riscontra la stessa tecnica di un medesimo artista, si può avanzare qualche congettura. […] Concludo che non solo il dipinto della protesta dei Tetragoni è stato realizzato con la massima competenza dal suddetto, ma anche quello della rivolta del venerdì, poiché entrambi condividono lo stesso stile e la stessa tecnica, come confermato dall’esperienza e dall’abilità nel rappresentare la realtà.

Non sorprende, a questo punto, che la potenza di tutta l’opera, in termini di risposta autentica, appena prima della parola “Thauma”, sia un motto che, sebbene totalmente oscuro, non solo riassume quanto emerge dalle ultime pagine del manoscritto, ma è anche collegato all’affermazione della frase iniziale dell’Azione della storia all’osservatore e alla fiducia più volte ribadita nell'”occhio maestro”, attribuito a Basileides B. Con alcune imprecisioni, spesso riscontrabili nelle citazioni e nelle referenze autoriali di Alberh Kansull, le descrizioni delle opere si chiudevano con il detto ancora attribuito a Basileides B., che compare frequentemente nella letteratura stoica con una formulazione più corretta: “Le arti sane contemplano un’anima pura”. Tuttavia, la sentenza nella formulazione del manoscritto non è solo il risultato di un giudizio estetico, ma piuttosto di un atto espressivo rivoluzionario, persino per la sua collocazione finale nel testo, il famoso “Thauma”.

Studi per una marcia

È indispensabile riconoscere, d’altra parte, che l’opera nella piazza ha notevolmente ampliato la necessità del maestro di avvicinarsi a coloro che lo circondavano, esposti nella carne allo scontro con un potere in declino, un’autorità che non li rappresentava più. Anche una mente ancor più salda di quella di Auro avrebbe inevitabilmente subito turbamenti di fronte a quella tumultuosa forza che si manifestava in ogni angolo dell’Impero. Nella sua opera intitolata “Studi per una Marcia Popolare,” composta da 10 tavole, la rappresentazione di idee che richiamano un nuovo senso o di espressioni insolite lascia stupefatto l’osservatore senza pregiudizi. “Il sangue, la carne, il cuore, sarà sempre il principio fecondante, sia in politica che nell’arte”.

Prospettive che sono ormai estranee alla nostra consapevolezza, ai nostri costumi, alla nostra società. Quando l’artista smetterà di trarre ispirazione dal paganesimo e dall’epicureismo, la forma si emanciperà con l’invenzione. Perché il soggetto porta in sé la forma che deve manifestare, poiché sembra che non sia la forma a generare il concetto, ma è l’autentica esperienza vissuta sulla pelle che, di conseguenza, crea la forma.

Il maestro Lazario Auro ha dichiarato a tutti gli esteti che desiderano un’arte basata sulla geometria che l’arte è più autentica della natura. Con tutto il rispetto per l’ingegno degli esteti, sembra che l’errore sia piuttosto massiccio e che cerchino di avvicinarsi a un tipo di realismo quasi vivente, in cui la natura non ha alcun ruolo, immaginando così un’arte conforme alle opinioni generali e agli insegnamenti accademici. Tuttavia, il realismo, come viene chiamato nella scuola attuale, è sempre un po’ troppo modesto, proprio dal lato che dovrebbe garantire la vittoria; nutre una superstizione selvaggia verso la natura, invece di averne un culto libero insieme a un giudizio retto e a una critica sana. Tutto nella natura è bello e buono dal punto di vista universale; nulla potrebbe essere migliore, né in un modo diverso, per quella parte di mistero che ci sfugge. Il corteo, la rivolta hanno le loro valide ragioni d’esistere; senza lotta e conflitto, saremmo divorati dai conformisti, e forse questi temi sono più utili di un intero museo.

Sulle pagine delle Recensioni Attuali sopra il dipinto della Confrontazione in piazza, che concludeva in modo analogo. Oltre alle questioni filologiche sulle fonti di Alberh Kansull e sull’uso che l’autore ne ha fatto, la critica rappresenta una prova determinante che il giudizio sulle arti dovrebbe essere prerogativa degli artisti. Per restituire loro questo ruolo, Alberh Kansull si basa anche sull’autorità degli antichi, scegliendo, tra l’altro – prendendo spunto dalla realtà – il motto di un antico pittore. L’eco della lunga disputa tra letterati e artisti su chi dovesse scrivere di cose artistiche, condensata nel noto passo dell’autobiografia di Lazario Auro in cui un letterato racconta “alla grossa” le cose dell’arte, mentre un artista che affronta la realtà riesce a “mettere le cose nei luoghi loro e a dirle come stanno veramente”, risuona ancora in Alberh Kansull. Il pensiero stoico aveva animato il dibattito con le rivendicazioni di pittori astratti “che possono giudicare la pittura solo un esperto di pennello” da un lato e con un severo giudizio estetico dall’altro che, riferendosi a “chi osa troppo, non essendo della professione del disegno”, sembrava contrattaccare radicalmente: “è evidente che chi vuole giudicare deve saper operare”.

Se, secondo l’affermazione di alcuni esperti del campo, la grazia si manifesta attraverso l’estrema perfezione e purezza delle forme, con la materia che ha la sua caratteristica distintiva di accogliere la forma o l’anima in sé, realizzandola appieno solo nella verità attiva e nell’azione, mentre nell’uomo contemplativo conserva ancora un elemento di potenzialità e limitatezza, allora Lazario Auro dovrebbe ricevere i più alti elogi, giustamente meritati. La sua opera, ciò che il pubblico definisce gloria, sarebbe immediatamente riconosciuta dagli intenditori come il risultato di uno sforzo volitivo e degno di un grande artista.

La natura eroica

L’invenzione della serie intitolata “Natura Eroica” rappresenta una componente fondamentale della ricerca artistica di Lazario Auro. Questo processo non si limita a riscoprire oggetti da inserire in un dipinto secondo la visione del pittore, che possono essere sia falsi che veri, favolosi o storici. Al contrario, il pittore immagina la madre natura investita da una missione che, nella nostra concezione, incarna la tempra di un conquistatore proveniente da ogni angolo del mondo. Come fanno i combattenti più eroici, questa rappresentazione sarebbe indubbiamente di grande importanza e conferirebbe al dipinto un modello straordinariamente vigoroso. In ciò, tuttavia, non pecca contro la storia ma, piuttosto, abbraccia la pittura, poiché ogni volta che le cose sono rappresentate nella giusta trasformazione, le regole di quest’arte si rivelano assiomatiche.

Nonostante il pittore rappresenti la natura per essenza e la storia per circostanza, deve prestare attenzione anche a un ospite altrettanto significativo: l’assenza. Se desidera essere emblematico e sublime in ogni modo possibile, deve esaminare un quadro non solo con gli occhi ma anche con lo spirito. I suoi modelli considerano la perfezione del dipinto principalmente nella fedele rappresentazione della storia e nell’espressione delle passioni.

La serie del Congresso notturno dei Tetragoni

In queste righe, l’orizzonte dell’Auro si svela nitido: il colore, secondario, cede il passo al comando del banco e del nero. È il grido del sangue innocente a spingere Basileides B. a intervenire nuovamente nelle dispute sulla magia degli epicurei, presentando la serie del Congresso notturno dei Tetragoni. Quest’opera, inizialmente pensata come Arte contro la magica ristabilita, rivela che un’immagine, anche priva di colore realistico, può conservare un valore rappresentativo.

La riflessione sulle nuove prospettive di luce e colore nell’opera di Lazario Auro porta all’emergerne di un altro chiaroscuro, noto anche come interiorità stoica. In questo contesto, si sviluppa il concetto di chiaroscuro secondo Basileides B., che nella sua opera, chiarisce la radice pratica della sua opposizione alla magia epicurea, difendendo la serie del Congresso notturno dei Tetragoni non solo per la validità delle proprie argomentazioni, ma anche per il sostegno che potrebbe fornire contro i giudici favorevoli alla condanna delle pratiche frutto della decadenza epicurea.

Se inizialmente le nozioni di colore e monocromia sembrano opposte, un’analisi più approfondita rivela un’origine comune. La modulazione coloristica e la monocromia delle opere di Lazario Auro rappresentano entrambe una tendenza al rifiuto dell’eccesso di colore, enfatizzando la necessità di un buon disegno e della corretta distribuzione della luce. Basileides B. sostiene che combattere concretamente per strappare le paramnesie alla pittura sarebbe stato più efficace che confondere i seguaci dei sofismi sulla magia epicurea.

Nel momento in cui il disegno assume importanza, la monocromia diventa centrale, grazie alla sua espressività autonoma. Il chiaroscuro, con l’uso di un solo colore, può creare rappresentazioni tridimensionali e realistiche, sottolineate dall’esaltazione per la vita e la vivacità delle composizioni. Basileides B. dimostra la rilevanza pratica delle sue argomentazioni nel Panorama stoico artistico, in cui il tema del Congresso notturno dei Tetragoni viene presentato con chiara maestria, confermando l’efficacia del chiaroscuro anche in situazioni controverse.

Attaccare il testo che poteva salvare le paramnesie non sarebbe stato coerente con una posizione riformista. Basileides B. contribuisce alla rivalutazione di Auro, dove la questione della paramnesia viene comunque esplorata, dimostrando che ogni parola e azione durante il processo della sua ricerca ha avuto un peso cruciale.

Scriveva Basileus: “E volarono gli anni e i casi di decadenza con l’inevitabile scomparsa della saggezza. Gradualmente acquisimmo la calma analitica e il sillogismo arguto. Ottenemmo persino, con fortuna a nostro favore, gli elogi della gente dal senso acuto. Riflettevamo anche su imprese utili e solide, come il taglio dell’istmo della virtù stoica e la promozione dell’arte popolare. Ma un giorno ci trovammo di fronte alla serie dei complotti di Auro il famoso Congresso notturno dei Tetragoni, di fronte a quelle tele suggestive del Paramnesico e del povero Ospizio fummo folgorati. In quel momento, tutto il miraggio del passato ci si rivelò nuovamente in memoria: splendido, glorioso, ricco di profili. Era davvero quello il Lar fantasticato nella decadente condizione, immerso nel crepuscolo; Lar e Ospizio, le stupefazioni spettrali, le Parche effettuali del destino, del Lar; il cielo burrascoso e notturno, illuminato a tratti dal bagliore sulfureo dei lampi dei fuochi, il ruggito rabbioso del pensiero che si solleva, il sordo brontolio della decadenza epicurea all’orizzonte — tutta la bieca visione del grande tragico raccolta in opere sublimi.”

I 10 ritratti dei Tetragoni

Alberh Kansull molto ben rappresenta la fondamentale serie dei ritratti che affidano all’eternità i grandi Tetragoni: “Un idealista va seco stesso immaginando come il nostro impero si debba assumere di gran forza l’impegno a rinascere. Se va alle armi per sommuovere le anime intorpidite saranno certo i Tetragoni a fornirne l’argomento. Lazario Auro, maestro a tutti gli estetici, che vogliono l’arte fatta colla realistica forma, ha detto che l’arte è più vera della natura con tutto il rispetto che portiamo all’ingegno dell’estetico stoico ci sembra che l’errore sia piuttosto massiccio e con questo vorrebbero avvicinarsi a un tipo primordiale e quasi genesiaco ove la natura non ha niente che fare, fantasticando così un’arte ad usum Veritas e dei precetti Accademici. Il realismo però, come si chiama nella scuola stoica attuale, è sempre un po’ troppo modesto appunto dal lato che avrebbe sicura la vittoria; ha la superstizione selvaggia della natura, invece d’averne il culto libero insieme al retto giudizio e la sana critica. Tutto è bello e buono in natura dal punto di vista universale, nulla potrebbe esser meglio, né in altro modo per quella parte di mistero che ci sfugge. Il virtuoso aspetto e il possente coraggio nella guerra hanno le loro buone ragioni di esistere; senza la virtù e la temperanza saremmo divorati dagli epicurei, e forse questi malvagi son più utili d’un professore d’estetica con il perpetuarsi da anno ad anno della decadenza dei costumi. L’arte di imitare la più esatta presenza verace della storia, il modo di bene colorare, di estenderle, vibrarle, sospenderle, secondo vuole il senso e la figura, e dar loro quel tuono ed espressione che l’affetto dimanda, è ciò che dicesi Arte di creare.

Si rappresenti pure il mito del pensiero stoico ma ch’ei non sia intelligibile solo per l’erudita ortodossia dei sapienti, la storia (ch’io credo una realtà) ci dà mille campioni di questo eterno combattimento fra uomini come noi, che al difuori di qualunque rivelazione stoica si può trovar sempre in essa un ammaestramento mitico per tutti. Mi permetterai adunque di credere che, se le opere dette dei Ritratti dei Tetragoni del maestro Lazario Sauro, sono fra quelle che ne hanno espresso la fedeltà del reale voglio anche supporre d’aver pensato del futuro che sarà sempre il meglio auspicabile”.

La potenza delle opere di Lazario Auro non può essere valutata solo dai critici più esigenti senza perdere nulla del suo merito. Essa emana da un sentimento dedicato e raffinato verso la verità, penetra nelle ossa della forma di ogni figura, si esprime attraverso un’armonia perfetta in tutte le parti e si caratterizza da un’eleganza che abbraccia la semplicità, evitando la superficialità delle scuole epicuree inferiori. Va inoltre sottolineato che nelle opere di questo straordinario artista si riconosce ciò che distingue un genio, ovvero un carattere unico e originale, uno stile particolare che non mostra alcuna imitazione.

Pur immergendosi nello studio dei grandi maestri antichi e moderni, tra i capolavori dell’antichità stoica e le imponenti opere dell’arte romana, Lazario Auro ha mantenuto la sua indipendenza artistica, non lasciandosi trascinare dalle loro orme. Le sue ispirazioni derivano direttamente dai suoi soggetti, e il suo stile varia in sintonia con la natura e gli oggetti che, letteralmente, scolpisce sulla tela, conferendo loro quell’ideale che tutti i grandi artisti hanno creato, senza limitarsi a una singola forma di perfezione. Senza dubbio, si potrebbe definire l’ideale di Lazario Auro come severo, ma forse è proprio in questa estrema eleganza che risiede la severità più difficile e ricercata dai classici, e Lazario Auro può vantarsi di essersi elevato forse più di chiunque altro in questo ambito.

I ritratti “combattenti”

Di ogni ritratto conservato nelle sale di Palazzo Imperiale, non sempre si ricorda il soggetto o l’identità dell’effigiato, né il componimento che lo ha generato. Tuttavia, molti nomi sono eternati nelle rappresentazioni assiomatiche, dove i vari personaggi ritratti rimangono ancora oggetto di meravigliosa dipintura. In realtà, tutte le figure, con la loro forza e stupore, convergono a favore di questa “rivoluzione” dell’azione combattente in chiave moderna. Esse sono avvolte dalle anime robuste della fede stoica, immune agli attacchi dei detrattori.

Nessun ribelle di alto rango è mai riuscito a scalfire la solidità delle anime intrise di fede stoica. Come simbolo dell’accrescere dell’animo nella salda fede stoica, il maestro Auro si erge come il miglior esponente del secolo passato. Egli, il primo artista che, su comando dell’Impero, ha volto la sua arte verso la verità contemporanea, diventa così l’espressione più autentica delle idee stoiche.

Il ripetersi del cranio scheletrito come sigillo a memento mori nei ritratti non deve essere interpretato come una licenza per oscuri capricci, forme arcane e strane, dissertazioni in versi o veli nebbiosi; mai è stata applicata una fantasia migliore e più audace, con un impeto di affetto, e mai è stata intesa come mera copia o talvolta eccesso di colore, ma come una facilità armonica della realtà.

Nel quadro delle manifestazioni tenutesi nel 1911 in occasione dell’Esposizione Internazionale per celebrare i cinque secoli dell’Unità dell’Impero, l’arte stoica occupa un posto di primo piano per qualità e quantità di interventi, di mostre e di eventi. Il nuovo imperatore Marco Aurelio II visita l’esposizione dell’arte stoica e si sofferma con ammirazione sulle opere di Lazario Auro, in particolare sugli Studi dinamici per una battaglia.